Ovvero: la vita, l’universo e tutto quanto – parte prima (non proprio, ma insomma).

Ho resistito a lungo all’idea di scrivere questo post, nonostante l’idea mi sia stata suggerita da più persone. In effetti, non è un’idea sbagliata: mi trovo ciclicamente a ripetere le stesse cose a persone diverse e c’è chi mi ha suggerito anche che potrei far diventare questi contenuti una sorta di corso a pagamento. Di sicuro il tempo passato a ripetere sempre-le-stesse-cose di cui sopra ne farebbe valere finalmente la pena, ma fra le mie aspirazioni professionali o di vita non figura l’insegnare come avviarsi in questo settore – non da ultimo perché a volte non so come starci nemmeno io e perché le cose cambiano costantemente.

Ma procediamo con ordine. Ultimamente nei miei DM su Instagram o LinkedIn ricevo spesso lo stesso tipo di messaggio. Ciao, sono X, vivo/lavoro/studio a Y, come si diventa interprete/traduttore, che studi ho fatto, come si mantiene la motivazione, come si trovano clienti, vale la pena iscriversi a un’associazione di categoria – se sì, quale –, le tariffe, come si sceglie una specializzazione e compagnia cantante.

Avviarsi nel settore dell’interpretariato e delle traduzioni può essere complicato: il lavoro del freelance è spesso piuttosto solitario e non c’è un vero e proprio “manuale del freelance”, proprio perché sotto questa macrocategoria ricadono moltissimi casi diversi. Purtroppo, però, rispondere individualmente a ogni messaggio sta diventando un’attività piuttosto onerosa, quindi ho deciso di scrivere questo post – al quale ne seguirà almeno un altro – per cercare di lasciare qualcosa di più dettagliato a cui fare riferimento.

Peraltro, di molte cose ho già scritto o ne ho già parlato: basta qualche minuto in più sul mio profilo Instagram o LinkedIn, dove sono già disponibili molte informazioni in svariati formati, dalle dirette su Instagram Quattro chiacchiere in cabina alle domande a cui ho già dato risposta e che ho salvato nelle storie in evidenza.

Insomma, ecco come è nata l’idea di mettermi finalmente al PC e provare a buttare giù questo pezzo, che mi rendo conto non potrà assolutamente essere esaustivo, ma d’altronde non lo sarebbero nemmeno le mie risposte. Non nascondo neanche che mi sento un po’ a disagio, vuoi per la sindrome dell’impostore che mi accompagna – ormai ha il suo posto fisso sulla mia scrivania, vicino alla mia piantina miracolosamente ancora viva alla data in cui scrivo –, vuoi perché è sempre difficile dare indicazioni di massima in un mondo professionale tanto variegato quanto in continuo cambiamento.

La mia piantina – la sindrome dell’impostore era a farsi un caffè, ma almeno vedete dove vive.

Premesse.

Cosa NON troverai in questo post:

  • La risposta alla vita, l’universo e tutto quanto;
  • Dritte semplici ed efficaci per svoltare;
  • Risposte semplici a problemi complessi.

Come hai già intuito, qui l’ironia, le citazioni e il pragmatismo si sprecano. Partiamo dunque mettendo le mani avanti: tutto ciò che sto scrivendo si basa sulla mia esperienza accademica e professionale, e quindi non è da intendersi né come verità assoluta né come l’unico modo di fare le cose. Né tantomeno una garanzia di successo, beninteso. Io vivo e lavoro (principalmente) in Lombardia con determinate combinazioni linguistiche e in determinate specializzazioni, ma le stesse cose potrebbero non avere senso per chi abita altrove, lavora con altre lingue e in altre specializzazioni. Altra ultima premessa importante: prima di muoverti concretamente per avviare la tua attività nel settore dell’interpretariato e della traduzione, parla sempre con un/a commercialista per capire come fare le cose per bene.

Cominciamo (e qui, se ascolti Morning, fai partire mentalmente Gimme Shelter dei Rolling Stones).

Come si diventa interprete / traduttore?

Per lavorare come interprete o traduttore in libera professione in Italia non esistono requisiti di legge, dato che non esistono albi ufficiali (diversamente da quanto accade per altre professioni tipo medicina, giurisprudenza, architettura, ecc.). Questo significa che si può esercitare questa professione anche senza un titolo di studi specifico. Che sia consigliato farlo è un altro discorso. Io consiglierei comunque della formazione specifica per acquisire le capacità e conoscenze tecniche relative all’interpretazione e alla traduzione perché, come non ci stanchiamo mai (collettivamente, dico, come settore) di lamentarci online, per saper tradurre e interpretare non basta “conoscere le lingue” tanto quanto non basta avere dieci dita per saper suonare un pianoforte.

Parlando sempre a titolo personale, a me una laurea triennale in lingue e mediazione linguistica non sarebbe di sicuro bastata per saper lavorare come interprete e traduttrice. Se ti serve a farti un’idea, qui trovi un riassunto del mio percorso accademico. Tuttavia, ci sono tantissimi professionisti e professioniste che sono arrivati a lavorare in questo ambito con un titolo di studi diverso da quello in interpretazione/traduzione. Insomma, ogni percorso è a sé.

Quale università scegliere, se corso X o Y è buono e così via non lo so, non lo posso umanamente sapere data la vasta offerta formativa esistente. Come ho già detto e dirò troppe altre volte, io posso parlare della mia esperienza e dirti come mi sono orientata io per fare una scelta. Tolto l’onnipresente e sempre valido criterio della disponibilità economica, di tempo (per lo studio, per spostarsi eventualmente verso la sede del corso) e gli altri pareri che si possono trovare online, io ho cercato di scegliere un buon compromesso fra qualcosa che mi piacesse e che mi potesse portare a lavorare in futuro.

Per esempio, non c’erano molti corsi di laurea magistrale in interpretazione con il cinese. Questo per me è stato un primo criterio fondamentale per capire come muovermi. Se invece magari stai cercando un master o un corso specialistico, puoi informarti online su chi sono i/le docenti, la loro esperienza professionale e così via.

Mi sono laureata/o e voglio iniziare a esercitare la professione, ma non so da dove cominciare.

Welcome to the club. A parte gli scherzi, questo è forse lo scoglio principale per chi si affaccia per la prima volta alla libera professione in questo settore. Abbiamo tutte/i passato le giornate a cercare agenzie di traduzione/interpretazione a cui mandare il CV, spesso senza alcun riscontro. Di nuovo, non potendo fornire la ricetta del successo; posso soltanto dire cosa ha funzionato per me, ovvero fare rete o, come dicono quelli bravi, networking.

people inside a cafe with tables and chairs
La leggenda – o il motore di ricerca di Pexels.com – vuole che questa sia gente che fa networking.
Photo by Julian V on Pexels.com

E come si fa ‘sto benedetto networking?

Stick with me, non sono impazzita. Ho passato gli anni della mia infanzia a Vicenza per via del lavoro di mio papà, ma purtroppo tutti i nonni erano lontani (Marche e Lazio). Questo comportava spesso lunghi viaggi in macchina con due bambini piccoli durante i quali, per passare il tempo e (intrat)tenerci buoni, mamma e papà ci facevano giocare a un gioco dove ognuno a turno pensava a un oggetto e gli altri, facendo delle domande, dovevano indovinare l’oggetto in questione. Un po’ per buttarla in caciara e un po’ per prolungare il gioco papà esordiva sempre con “ce ne sono di tante forme, di tanti tipi e di tanti colori”.

Ecco, so che l’ho presa larga, ma è un po’ il succo di questo blocco: il networking si può fare in tantissimi modi, spesso diversissimi l’uno dall’altro. Per me ha funzionato partire dal networking fra colleghe e colleghi, tant’è che tutt’ora l’80% del mio volume di lavoro che non mi arriva dai miei clienti arriva da colleghe e colleghi. Lo si può fare tramite eventi informali che vengono organizzati periodicamente in varie città d’Italia (capito perché ho esordito con il “ce ne sono di tante forme, ecc.”?): mi vengono in mente i LocLunch, ma pre-pandemia si organizzavano spesso anche degli aperitivi o cene – appunto – di networking.

Un altro modo è quello di entrare in un’associazione di categoria e partecipare attivamente alla vita associativa: che sia tramite le riunioni più informali (mi vengono in mente gli open day così come i saluti natalizi che si fanno di solito) o tramite i corsi di formazione. Queste per me si sono sempre rivelate occasioni preziose di instaurare o stringere dei rapporti con colleghe e colleghi. Attenzione però a non pensare che questo significhi automaticamente che arriveranno montagne di lavoro a partire dal giorno dopo, né a confondere colleghe e colleghi con delle cash cow.

Quest’altro suggerimento è un po’ più difficile da mettere in pratica se sei veramente agli inizi, ma col tempo suppongo che arriverai anche tu a trovare delle specializzazioni (che so, tipo finanza o giurisprudenza, per nominarne due piuttosto ampie). Ecco, puoi pensare di unirti anche a delle associazioni specifiche per il settore in questione e partecipare agli eventi organizzati da quell’associazione, spiegando chi sei, cosa fai e come puoi aiutare le aziende che lavorano in quell’ambito.

person holding iphone showing social networks folder
Photo by Tracy Le Blanc on Pexels.com

Finora ho parlato di networking cosiddetto offline, ma un’altra ottima maniera di far girare un po’ il tuo nome è anche il networking online. Anche qui, la ricetta per il successo in questo senso non ce l’ho: posso solo consigliarti di capire dove si muovono (virtualmente) i tuoi colleghi e colleghe e i potenziali clienti che vorresti vedessero il tuo profilo e i tuoi contenuti e cercare di esserci. Il che non significa postare tutti i giorni (a meno che tu non voglia farlo) o commentare tutti i post degli altri, anche perché all’inizio è difficile trovare qualcosa da dire, capire come lo si vuole dire e soprattutto vincere la paura di cominciare a farlo.

Sicuramente avere una buona presenza online aiuta – il che non significa necessariamente sito web e quant’altro, ma magari aprire un account su LinkedIn ed eventualmente una pagina professionale sui social che hai scelto come “contenitori” per ciò che vorrai raccontare. Ci sono moltissimi corsi gratuiti e ben più dettagliati di queste poche indicazioni, ma mi sento di consigliarti due cose. La prima è di tenere ben separati i profili personali e professionali.

Questo non significa che se metti qualcosa di meno-strettamente-business sulla pagina professionale improvvisamente sarai additato/a come poco serio/a, anche perché ricordati sempre che le persone comprano (prodotti e servizi) dalle persone. Però magari la foto in costume delle vacanze con gli amici non ha molto senso se ti occupi, che so, di traduzioni di visure camerali. Come puoi immaginare, anche qui non esiste una risposta univoca al “cosa postare o meno”: avevo parlato un po’ più approfonditamente di questo tema qui, facendo una breve analisi di cosa dicono le varie associazioni di categoria in merito alla riservatezza alla quale i soci e le socie sono tenuti.

Il secondo consiglio è di ricordarti che le vie di Internet sono infinite e che qualsiasi cosa metti in giro non verrà mai davvero cancellata e non sai chi la vedrà, se chi la vedrà capirà cosa volessi dire, se stai rivelando informazioni potenzialmente sensibili su di te, i tuoi clienti o il tuo “giro”. Riagganciandomi anche al principio di cui sopra, cerco sempre di domandarmi se ciò che scrivo o metto in giro è in qualche modo rilevante a far capire chi sono, cosa faccio e come lo faccio (quindi se in qualche modo è rilevante per chi mi legge) e se fra sei mesi non mi partirà il cringe potente rivedendo quel post. Seguitemi per altri consigli sul content marketing.

Sì, ok, ma come si trovano i clienti?

La lunga sezione precedente avrebbe già dovuto aiutarti a capire che il networking è essenziale in questo senso, e per il resto… bella domanda. Questo blocco sarà ben più corto, scevro di aneddoti dal sapore d’infanzia e, mi rendo conto, piuttosto scoraggiante. Se avessi una risposta univoca probabilmente avrei inventato un metodo da vendere in un infoprodotto con consulenza 1:1 finale e sarei diventata una “guru” del settore. Anche qui posso solo parlarti di come sono andate le cose per me finora e sarai tu a trarre le tue conclusioni.

Tolto il lavoro che mi arriva tramite colleghe e colleghi, che comunque è una parte significativa del mio volume di lavoro durante l’anno, a volte capita che i clienti arrivino a me tramite Internet (che sia il sito, LinkedIn o, addirittura, mi è capitato un paio di volte su Instagram) o tramite il cosiddetto passaparola. A mia memoria, non mi è praticamente mai capitato che un’agenzia mi ricontattasse dopo che io avevo mandato una candidatura spontanea, idem per potenziali clienti diretti (ovvero, quelli non intermediati da un’agenzia).

Mi soffermo nuovamente sulla questione presenza online, perché questo per me è stato un fattore importante. Ho lavorato molto – e continuo a farlo – per il migliorare costantemente la mia “vetrina virtuale”, per far capire a potenziali clienti e a colleghe e colleghi che non mi conoscono chi sono, cosa faccio e come lo faccio. Questo non significa che ogni giorno mi arrivino dozzine di richieste perché ho un sito carino o perché ho fatto X post su LinkedIn, ma sicuramente chi ti cerca online per verificare chi sei e se davvero fai ciò che dici di fare guarderà anche questi aspetti. Mi è capitato in passato di ricevere dei riscontri positivi che hanno portato delle persone a contattare me e a scegliermi come collaboratrice perché era piaciuto, che so, come avevo scritto questa cosa o il mio “stile” in generale.

Come ti accennavo in apertura, ho deciso di dividere questo post in due “episodi” dato che già questo è piuttosto lungo. Se hai delle domande o vuoi lasciare un commento, puoi farlo qui sotto. Ci rivediamo per la seconda puntata. Ciao!