E no, il titolo non è un refuso.

Sai che cos’è un brand blunder? E sai che c’entra la traduzione con la pubblicità e con la reputazione di un’azienda? Se la risposta è no a entrambe le domande, sei nel posto giusto.

Se la risposta è sì, questo articolo è ricco di aneddoti divertenti da tirare fuori a cena con gli amici, se capitate sul tema.

Ambrogio, non è proprio voler essere incomprensibile, è più voglia di… machine translation

Ti è mai capitato di scorrere la descrizione di un prodotto su Amazon, senza riuscire a capire cosa ci fosse scritto? Oppure di leggere del materiale che non filava abbastanza, si capiva che non era stato scritto in italiano, insomma, era l’equivalente per la lettura di un sassolino nella scarpa.

Tormeria, per la cronaca, non esiste in italiano. Doveva essere “curcuma”, dall’inglese “turmeric”.

E sto ancora cercando di capire che c’entra la “ciliegia biologica” con degli integratori a base di curcuma. Per non parlare di “organica”, uno dei false friend più diffusi. E per non parlare di – ok, basta, sennò qui parte un’esegesi biblica e ho altro di cui ti voglio parlare oggi.

Insomma, a meno che tu non sia il titolare di Nutravita (nel qual caso, sarei più che felice di aiutarti a sistemare quelle descrizioni!), e a meno che tu non abbia pagato a caro prezzo ciò che stai leggendo, questi sono casi in cui tutto sommato una traduzione fatta male non è costata direttamente nulla a nessuno.

Dico “direttamente” perché affidare la propria immagine e la propria comunicazione a un programma automatico o a un dilettante invece costa eccome: nel medio-lungo termine tantissime aziende finiscono per dare un’immagine negativa di sé, mostrando di non valorizzare abbastanza i propri clienti. 

Come si dice in inglese, casi come questi portano a “lasciare un sacco di soldi sul tavolo”. Il Committee for Economic Development (CED), un ente americano, ha stimato che ogni anno le aziende statunitensi perdono un potenziale pari a 2 milioni di dollari per incomprensioni linguistico-culturali.

Affidarsi a un dilettante per la propria comunicazione internazionale è come fare découpage su un mobile di antiquariato.

Oggi voglio parlarti di qualche caso in cui non sono stati solo lasciati un sacco di soldi sul tavolo, ma in cui l’aver ceduto al fai da te o alla gara a ribasso sul costo ha portato a pagare a caro prezzo una decisione del genere. Perché la traduzione automatica non può sostituire gli umani – questo non lo dice solo l’oste: lo dice anche Google. E un dilettante ti costerà sempre più di un professionista.

Ci sono passati un po’ tutti, da chi vende auto alle banche. Dirai, se c’è cascata persino gente come la Nike o la Electrolux, a me cosa vuoi che succeda? La differenza però è che tu magari non hai le risorse per rifare tutto da capo una seconda volta, mentre una grossa multinazionale leader del settore in qualche modo il budget lo tira fuori, come dimostrano le storie che ti racconto qui sotto.

Per esempio, HSBC ha dovuto cambiare completamente la propria campagna di comunicazione, dato che il claim “Assume Nothing” (“non dare nulla per scontato”) è stato tradotto in svariati paesi con l’equivalente di “Do Nothing” (“non fare nulla”). La campagna originale è stata cestinata, e la banca ha speso 10 milioni di dollari per rimediare a questo disastro mediatico – oltre a quelli spesi prima!

Scarpe da ginnastica e body shaming

Vogliamo parlare anche della Nike, che sulle proprie scarpe per il mercato cinese ha messo due caratteri, “發” e “福”, che da soli significano “prosperità” e “benessere”… ma che messi insieme in questa sequenza vogliono dire “essere ingrassati” in maniera educata?

Buone queste dita!

Poi c’è anche il colosso americano del pollo fritto KFC (Kentucky Fried Chicken), che si è reso conto di aver commesso un errore di traduzione clamoroso per il proprio nome. Questo era il motivo per l’andamento negativo sul mercato cinese dell’azienda. Da “finger lickin’ good” (“buono da leccarsi i baffi”) siamo passati a “eat your fingers”, ovvero “mangiati le dita”. 

Anche i giganti come Electrolux non sono immuni da brand blunder, o figuracce colossali che danneggiano la reputation e l’immagine di un’azienda. Probabilmente il “suck” dell’annuncio riportato nell’immagine voleva dire “aspirare”, dato che si parla di aspirapolveri. Il messaggio, rivolto al mercato americano, può essere però interpretato in due modi. Infatti “to suck” vuol dire “fare schifo” in slang. Il secondo invece è decisamente a natura più sessuale… lascio unire i puntini a te. 

La stessa cosa è successa alla General Electric, che ha provato ad entrare nel mercato francese con la sigla GPT. Per la pronuncia francese però l’acronimo si pronuncerebbe in maniera analoga alla frase “j’ai pété”, ovvero “ho emesso un peto”. Qui è proprio il caso di parlare di brain fart.

Lo scheletro nel bagagliaio

Infine c’è la Ford, che ha deciso di prendere di mira un’audience abbastanza specifica. La campagna per il mercato belga dell’azienda è passata da “Every car has a high-quality body” a “Every car has a high-quality corpse”. Come passare da “carrozzeria” a “cadavere” in poche, semplici mosse. Chissà come sono andati i KPI di quella campagna.

Che sia stato per tirare a risparmio e aver usato Google Translate o chi per esso, per aver scelto un dilettante come fornitore o per aver ceduto alla tentazione di far tradurre la propria campagna pubblicitaria al famoso cuggino, il denominatore comune è lo stesso: uno scivolone reputazionale che costa un sacco di soldi.

Insomma, se l’esperienza (anche quella indiretta) è un tesoro dal valore incalcolabile, questi casi fanno proprio scuola: il fai da te va bene solo per il giardino di casa, ma quando si parla di affari è meglio affidarsi a un professionista competente. E questi progetti un valore ce l’hanno sempre. Non fare il KFC di turno. Non andare in giro a vendere cadaveri nelle macchine.

Se hai bisogno di una consulenza o hai un progetto di marketing che devi far tradurre, non esitare a contattarmi… evita di dire ai tuoi clienti che sono ingrassati! 😉