Ispirata da un post della collega e amica Ilenia Montana intitolato “Interprete, ma quanto mi costi?”, ho deciso di sviluppare un po’ il tema e di fare qualche ragionamento nero su bianco da condividere con voi – anzi, con te che mi stai leggendo in realtà, e ti ringrazio già per il tempo e l’attenzione che mi stai dedicando.
Proprio da questi due temi voglio partire: il tempo e l’attenzione, ma prima permettimi un piccolo excursus. Questo articolo nasce dal presupposto che le cose o si fanno bene o non si fanno, che è un po’ la mia filosofia nella vita (sia personale che lavorativa); anche perché di storie dell’orrore è pieno. E, come sappiamo tutte/i, la professionalità si paga.
Ecco, se sulla traduzione è tendenzialmente più semplice immaginare perché un preventivo costa quel che costa (tempi di lavorazione, quantità di parole da tradurre, tecnicità del documento, formattazione grafica…), sull’interpretariato i confini si sfumano notevolmente. Questo mestiere ancora poco conosciuto, seppur antichissimo e molto diffuso, viene molto spesso frainteso e sottovalutato, ma soprattutto molte volte il costo per un interprete viene ritenuto “eccessivo”.
Non voglio che questo articolo diventi un panegirico all’interprete, anche perché è facile tirare acqua al proprio mulino. Ma voglio provare a spiegare un po’ meglio i fattori dietro al calcolo del compenso di un’interprete e perché non è qualcosa che può fare chiunque in qualsiasi contesto.
Primo disclaimer: se di tutta ‘sta pappardella non te ne frega niente, smetti di leggere ora e ti lascio qui il TL;DR. D’altronde, nemmeno a me interessa molto come fa il tecnico del PC a fare il suo lavoro: mi interessa che mi risolva il problema che ho il prima possibile e con meno rogne possibili. Ecco, il sunto di questo articolo è che un/a interprete professionista fa esattamente questo, ma con un sacco di studio attivo pre-evento e sfruttando capacità e conoscenze che trascendono da quelle meramente linguistiche – non ultima quella del saper sempre trovare una soluzione su due piedi anche quando sembra che tutto stia per andare a rotoli.
Cercherò comunque di rapportare sempre ciò che ti spiego con ciò che ne comporta/viene a chi deve usufruire di/contrattare questo servizio, in modo tale da rendere il tutto più immediato. Se vuoi leggere un approfondimento su quali fattori influenzano il preventivo di un servizio di interpretazione, ne ho parlato più nel dettaglio in questo articolo.
Secondo disclaimer: sto dando per scontato che stiamo parlando di servizi professionali che vengono fatturati regolarmente (e non dovrei neanche starlo a dire), sui quali quindi si pagano delle tasse e contributi che possono andare dal 27/29% in su. Ecco, ora possiamo partire.
Una questione di tempo, ma non solo
Tornando al tempo, quindi, parto con lo spiegone. Preparati un caffè, un tè o la tua bibita preferita: ne avremo per un po’.
Per rimanere in tema, per diventare interpreti ci vuole tantissimo tempo. Ci vuole la conoscenza approfondita di una o più lingue straniere che non si identifica con il “mero” C2 in una o più lingue straniere e che non finisce con gli anni di studio universitario.
Non solo: ci vogliono anche consapevolezza della cultura straniera e delle sfumature della lingua, nonché conoscenza lessicale ed enciclopedica del linguaggio settoriale del caso. Pensiamo all’ambito medico o legale, per esempio: tu lo sai come si dice “sternocleidomastoideo” in inglese, così, su due piedi? Ma soprattutto, sai cos’è? Io mi dovrei documentare, per l’appunto.
Arrivare a – e mantenere – questo tipo di conoscenze richiede tempo. Tanto tempo, tanta energia, tanta costanza. Inoltre, un/a interprete professionista prima di ogni incarico passa molto tempo a studiare e prepararsi per l’evento o riunione in merito.
Queste ore, se non giorni o settimane, a seconda dell’incarico, sono tempo che l’interprete non potrà passare a lavorare su altri progetti: se vogliamo ridurla a una banale questione di retribuzione oraria, quindi, anche questo tempo va retribuito in qualche modo perché i liberi professionisti se non lavorano non fatturano, e magari per studiare per un determinato lavoro rifiutano altri progetti e bloccano nel proprio calendario delle ore da dedicare a questa attività preparatoria.
🧐 E a me che me ne viene? Premessa alla risposta: se stai contrattando un/a interprete professionista per un servizio è perché c’è un ostacolo comunicativo che non riesci a risolvere in autonomia. E va bene così: non tutti possiamo né sappiamo fare tutto, e probabilmente è importante che l’evento in questione vada bene per la tua immagine/quella della tua azienda, oppure si tratta di un incontro aziendale per risolvere dei problemi o chiudere un accordo commerciale. Risposta: avrai la tranquillità di sapere che ti stai affidando a un/a professionista che non solo lavora principalmente nel tuo settore, ma che si è anche preparato/a per l’incontro/evento specifico e che sa come affrontare tutti gli imprevisti e le difficoltà del caso, dato che questo è il suo mestiere. Di fatto, stai pagando un servizio che ti garantirà che tutto fili liscio dal punto di vista comunicativo e reputazionale.
Aggiungo una riflessione a questo ambito. Se lavori in un’azienda anche media, sicuramente avrai qualche collega che parla la lingua X. Non sai quante volte mi è capitato di essere chiamata da un’azienda per un incontro con dei colleghi o acquirenti stranieri e trovarmi davanti a qualcuno che mi diceva “beh, sì, sai, alla fine io/pinco pallino parlo [lingua], avremmo potuto farlo internamente…”. Oltre a non essere propriamente carino da dire al/la professionista in questione, c’è sempre quel piccolo problema del conflitto di interesse: infatti, un/a interprete è sempre super partes e garantirà una maggior fiducia a tutti gli interessati durante una trattativa o un incontro aziendale.
Non si finisce mai di studiare
Peraltro, spesso gli interpreti professionisti investono moltissimo tempo (e denaro) in formazione continua o CPD, continuing professional development. Chi è parte di un’associazione di categoria – io per esempio sono membro di AITI, l’Associazione Italiana Traduttori e Interpreti, e sul mio profilo LinkedIn puoi trovare alcuni dei miei attestati di CPD – ha proprio un dovere di aggiornamento professionale continuo.
Ciò si traduce spesso e volentieri in corsi di formazione sia per addetti del settore che, per esempio, in seconde lauree o master vari ed eventuali, proprio per garantire sempre il massimo livello possibile di qualità nel servizio offerto. Giustamente, potresti pensare: ma io do per scontato che la persona che mi fornisce questo servizio sia già formata/specializzata in questo ambito. Legittimo, specialmente se lavori in un ambito piuttosto ampio e/o non particolarmente specialistico.
Se però hai bisogno di una figura altamente qualificata come un interprete che parli lingue anche relativamente poco comuni (faccio un esempio a me ben conosciuto: il portoghese europeo, senza andare a scomodare lingue più rare) e che sia anche specializzata in, che so, idrologia… beh, le possibilità che ci sia qualcuno di già specializzato in quest’ambito sono molto basse. E se questo qualcuno ci fosse probabilmente potrebbe chiedere cifre molto alte, proprio in virtù della sua posizione semi-dominante in una nicchia molto particolare. See where I’m going with this?
🧐 E a me che me ne viene? Risposta: un/a professionista specializzato/a che si aggiorna sulle novità del proprio settore di riferimento non parla solo “le lingue” necessarie allo svolgimento del servizio di interpretazione, parla la tua lingua. Mutuando da uno dei miei settori più forti, quello delle assicurazioni, non mi sentirai mai tradurre “ramo danni” con “damages branch” (sì, l’ho sentito davvero e sì, il cringe è scorso potentissimo in me e negli altri ascoltatori).
Non solo conoscenze linguistiche
Chiudo, con questo ultimo punto, la riflessione sul tempo: per imparare le tecniche di presa di appunti in modalità consecutiva, oppure come gestire una simultanea… hai indovinato: ci vuole tempo. E spesso ciò si apprende all’università, durante un percorso di studi che dura minimo tre anni, ma più spesso cinque, e che comporta l’acquisizione di conoscenze e capacità tecniche e specifiche. Se ti interessa saperne un po’ di più sulle varie modalità di interpretazione, ne parlo qui.
🧐 E a me che me ne viene? Risposta: di nuovo, se stai pagando un servizio, non ha senso “andare a risparmio” per ottenere una comunicazione mediocre, incompleta e inefficace. Un/a buon interprete sa come affrontare discorsi rapidi e accenti ostici, prendere appunti e parlare in pubblico in maniera da rispecchiare e rispettare lo stile di chi sta parlando e soprattutto farlo nel modo più congruo al contesto in cui ci si sta muovendo. Come ti accennavo prima, queste sono competenze ben diverse dal mero “sapere le lingue”.
Focus, focus, focus
Poi c’è la questione attenzione, che forse è meno considerata. Sì, perché fare l’interprete vuol dire dover prestare costantemente attenzione a tutto ciò che viene detto durante l’arco della riunione/evento/conferenza per tutto il tempo. Diciamocela tutta: a tutti è capitato, specialmente con la diffusione delle riunioni online e del lavoro remoto, di partecipare a sessioni infinite durante le quali abbiamo – per essere eufemistici – staccato un po’ l’attenzione.
Ecco, l’interprete questo non se lo può permettere. Inoltre, lavorare in modalità simultanea richiede uno sforzo cognitivo enorme: è per questo che gli interpreti di norma lavorano sempre in coppia con turni – tendenzialmente – di mezz’ora, in modo tale che mentre il/la collega lavora ci si possa riposare.
Ma, anche qui, non è mai un vero e proprio riposarsi. Chi non lavora attivamente deve continuare a seguire il discorso in previsione del proprio turno di lavoro attivo, e poi si dà una mano al/la collega segnando eventuali nomi, numeri, acronimi, terminologia specialistica su un foglio per fare ciò che in gergo chiamiamo “assistenza”.
Per andare un pochino più a fondo sulla questione della simultanea, sostanzialmente si tratta di quello che io definisco affettuosamente “multitasking sotto steroidi”: sì, perché oltre ad ascoltare il discorso nella lingua originale, l’interprete deve tradurre ciò che si sta dicendo simultaneamente, ascoltarsi – cioè, ascoltare ciò che sta materialmente dicendo – nella lingua di traduzione e, in tutto ciò, continuare ad ascoltare il discorso originale e indovinare dove chi sta parlando vuole andare a parare per non produrre una resa a singhiozzi, letterale (e quindi spesso insensata) o – orrore degli orrori – lasciare una frase aperta.
🧐 E a me che me ne viene? Risposta: un/a professionista del/la quale ti puoi fidare e che non abbandonerà il palco o la cabina dopo pochi minuti, tendenzialmente in lacrime perché non aveva contezza dell’impegno richiesto, lasciando te e i tuoi ospiti stranieri in un bel disastro comunicativo e reputazionale. Come dici, ti sembra un caso assurdo? Beh, sicuramente lo è, ma sono anche casi reali di cui ho sentito parlare da colleghe e colleghi, nonché dai miei clienti. Oppure ci sono storie come quella della “finta” interprete di lingua dei segni che ha fatto la storia qualche anno fa.
Ma se non ti fidi, prova.
Insomma, se sei arrivato/a fin qui a leggere, dovresti avere ormai un’idea un po’ più chiara di quanto lavoro e quanta specializzazione ci siano dietro a questa figura professionale, quella dell’interprete, e del perché non è un mestiere che si possa improvvisare. E su questo vorrei un attimo soffermarmi, perché spesso si crede che per fare l’interprete basti sapere “bene” (che poi, che vuol dire “bene”? Parlare fluentemente? Sapere tutte le regole grammaticali? Avere un vocabolario ampio?) una o più lingue straniere.
Nulla di più sbagliato. Così come avere dieci dita non fa di nessuno di noi un/a pianista, sapere una o più lingue straniere non fa di nessuno/a un interprete per tutti i motivi di cui sopra. Ma se lo sternocleidomastoideo e tutte le capacità tecniche che ti ho menzionato prima non ti hanno convinto, ti invito a fare un semplice esercizio. Apri un video su YouTube in una lingua straniera che padroneggi – una roba semplice, magari un discorso istituzionale bello lento – e comincia a tradurlo simultaneamente ad alta voce verso l’italiano. Registrati, se vuoi.
Se non ti esplode il cervello entro i primi dieci minuti, congratulazioni: potresti pensare a una carriera come interprete. La stragrande maggioranza delle persone, però, non arriverà oltre ai due/tre minuti e subito dopo avrà una voglia matta di scollegare il cervello, metterlo sul comodino e dormire per una decina di ore.
Ecco, ora immagina di fare questo lavoro tutto il giorno, dalle sette ore lavorative in su, magari con oratori stranieri che parlano con un accento molto forte, oppure su un discorso molto tecnico, su un oratore che parla alla velocità della luce. E, spesso, senza aver ricevuto i documenti della conferenza/riunione del caso… ask me how I know.
Chi ha paura delle conferenze online?
Prima di concludere, c’è un altro aspetto che è diventato sempre più attuale, specialmente dall’inizio del 2020 in poi. Come per tanti altri settori, quello delle fiere e degli eventi è stato colpito duramente dalla pandemia da Covid-19. Per gli interpreti questo ha significato dover passare a lavorare in modalità remota o remote interpreting, di cui parlo un po’ meglio in questo articolo.
Senza stare a entrare eccessivamente nei dettagli, questo per gli interpreti ha significato un duplice investimento. Da una parte, il tempo dedicato a imparare come usare le varie piattaforme per l’interpretazione remota. Ogni piattaforma ha un’interfaccia diversa, richiede spesso del tempo per l’onboarding e comporta quindi un investimento di tempo e una curva di apprendimento dedicata. Dall’altro, un investimento in attrezzatura specifica per lavorare da casa garantendo – per quanto possibile – le stesse condizioni di una cabina insonorizzata, quindi cuffie e/o microfono USB.
In molti hanno dovuto investire in un upgrade di connessione internet, oppure in una seconda linea telefonica da utilizzare come hotspot se dovesse saltare il modem. Ho visto anche casi di colleghi/e che hanno acquistato un generatore per non rimanere a piedi se dovesse saltare la corrente, oppure anche in un secondo dispositivo più nuovo e performante. Per esempio, io ho investito relativamente recentemente in un microfono USB molto valido ma che decisamente non è costato poco.
È tema ricorrente di discussione, questo del remote interpreting, fra noi colleghi e colleghe: difatti, lavorare da remoto significa dover fare gli interpreti ma anche i tecnici, spesso e volentieri, perché ci si trova a dover gestire da soli/e qualsiasi eventuale problema tecnico, improvvisi blackout, connessioni internet ballerine e imprevisti di varia natura, spesso dovendo gestire più dispositivi in contemporanea per poter comunicare con il/la collega.
🧐 E a me che me ne viene? Risposta: business continuity. Non è tanto una questione di dover ammortizzare il costo della seconda linea/microfono/generatore/quellocheè, ma il fatto di poter garantire un servizio senza singhiozzi o interruzioni per tutta la durata dell’evento online. Più tutto quello di cui abbiamo parlato sopra.
Insomma…
Spero, con questo articolo, di averti dato un’idea un po’ più chiara del perché XXX€ per una giornata di lavoro di un/a interprete, se consideri tutto ciò che c’è dietro, è tutt’altro che un costo “eccessivo”. E anzi, è un investimento, specialmente se pensi all’enorme beneficio di poterti esprimere liberamente nella tua lingua materna con la tranquillità di sapere che c’è un/a professionista che ti aiuta a tradurre accuratamente e fedelmente ciò che vuoi dire, facendoti fare una gran figura e assicurandoti che tutto filerà liscio nonostante gli imprevisti e le difficoltà del caso.
Se hai altri dubbi, puoi consultare queste FAQ oppure contattarmi direttamente, specialmente se hai bisogno di un’interprete che corrisponda a tutte le caratteristiche di cui sopra e che possa aiutarti a ottenere i risultati di cui hai bisogno per il tuo business 😉